Ogni spostamento del nostro sguardo, così come il semplice fatto dello scorrere del tempo, porta alla nostra vista una gran moltitudine di informazioni.
Di queste informazioni il 99% buono viene scartato nel nostro uso quotidiano. Per spiegare meglio questo concetto, basti pensare che guardare la nostra scrivania significa percepire al massimo una vaga idea delle dimensioni, a malapena il concetto scontato che è un ripiano e la cosa più importante che permane è che la superficie è piena di cianfrusaglie a cui vogliamo accedere.
Noi non siamo come computer: dei nostri dati noi non facciamo una copia 1:1, noi non memorizziamo tutto quanto di ciò che vediamo. Per come funziona il nostro cervello (quel poco che ci è dato sapere dalla nostra esperienza personale) un piatto di pasta non contiene nel nostro cervello il numero di spaghetti, il grado di colore del sugo e atomo per atomo la posizione di ogni spaghetto – sarebbe estremamente inefficiente. Basti sapere che c’è pasta, abbondante, formato spaghetto, sugo e che era buona e l’idea della nostra cena si è formata con buon grado di approssimazione nella nostra mente.
L’inevitabile perdita di informazioni – necessaria per non venire tirati scemi dalla quantità di roba che ogni giorno immagazzineremmo, anche se c’è chi ci vive perfettamente – è parte sacra e quotidiana delle nostre vite.
Ciò che i cosiddetti “dettagli” ci vogliono trasmettere è un’informazione non standard. Il fatto che vengano amenamente cancellati, buttati via, ignorati non significa che tali informazioni però siano superflue. Né tanto meno la loro informazione è degna di particolare nota. Diciamola così: il dettaglio viene notato, grazie ai nostri potenti mezzi evolutivi che ci hanno dotato di un cervello da vari teraflop\s, nella giusta quantità e durata.
La nostra cura ai dettagli, la persistenza scarsa ma presente nella memoria sia a lungo che a breve, viene sfruttata quotidianamente da chi dei dettagli fa la vita: una linea più curva in un prodotto può cambiare radicalmente l’intera memoria dell’oggetto, un singolo disegno piazzato in un modo piuttosto che nell’altro può cambiare completamente l’efficacia di un cartellone pubblicitario. L’intero apparato pubblicitario è fatto di dettagli per la mente che sta cercando di ignorare il temporaneo fastidio, eppure questi dettagli finiranno per permanere nonostante si stia cercando di prestare meno attenzione possibile alla seccatura pubblicitaria.
Diamine – guardare qualcosa, come è quasi fin troppo ovvio, ha più livelli di messaggio ma può anche capitare che quello che riteniamo più superfluo sia quello più fondamentale.
Allora il dettaglio, la singola sfaccettatura che può cambiare tutto comincia a diventare degno d’attenzione. Un singolo comportamento della folla, un piccolo pattern che si ripete, una leggera sfumatura può davvero essere la chiave per capire la totalità, ciò che permane.
Forse è il momento di ribaltare un attimo il modo di guardare ciò che ci sta attorno. Per captare l’impalpabile, per notare l’impercettibile. Ci son momenti in cui mi accordo, noto qualcosa, al limite del descrivibile, troppo poco diretto per essere descritto, troppo poco indiretto perché non me ne accorga del tutto. Non dico di stare come degli scemi a guardare i piccoli particolari sperando di notare in un fiore disegnato sull’autobus la spiegazione della vita.
Dico che c’è qualcosa di più da notare.