Viva il segreto

Una volta, messeri, esistevano i segreti.
Il segreto esisteva perché c’erano cose di cui non si voleva far sapere.
Spesso perché era un problema che certe cose si sapessero.

La scena è la seguente.
Festa. Con persone giovani. In un luogo pubblico o presunto tale (non a casa di qualcuno, insomma).
Due giovani si appartano nelle toiletteS. Di certo non giocano a monopoli.
Per non essere grezzi, diciamo che “lei gioca al canta tu”.

Di per sé, la cosa… Chissene, no? Contenti loro. 
La cosa divertente è che tempo un minuto e ogni invitato alla festa era al corrente della cosa.
Tempo due minuti e tutti sanno che la “cantante” si è pentita della cosa.

E a tutti pare normale, nessuno se ne frega, nessuno inarca nemmeno il sopracciglio.
Il cantato ride e scherza, come se fosse successo mentre quell’altra sarà probabilmente a disperarsi da qualche parte.

Surreale il tutto, un surreale contornato dalla mia incredulità nel vedere come la cosa non abbia suscitato la benché minima reazione in nessuno dei presenti.
E soprattutto mi stupisco come io stesso abbia dato molta più rilevanza a ciò che al fatto in sé: visto da fuori, una che fa certe cose al primo che passa senza manco esserne certa, senza nascondere manco la cosa per poi piangere del fatto, lascia come minimo basiti.

No. Tutto a posto. 

Il segreto smette di esistere quando non c’è nulla da tener segreto. Quando niente può ferirti.
Allucinante.

Rapporti 2008

Un po’ di tempo fa ho avuto una discussione piuttosto accesa con mia madre che sosteneva che io avessi una vita sociale scarsa – non nella quantità (mangio fuori un giorno sì ed un giorno sì e mi ritengo pieno di amici) quanto nella qualità.

Secca è stata la frase “sembra che tu ti infili nella vita degli altri nelle varie occasioni in cui è accettata la tua presenza”

Cioè in pratica, gli altri hanno una vita, la tua vita è fare comparsate nella vita degli altri.

A parte l’evidente scortesia nel farmi un tale discorso – che ho accusato con un risentimento che non ho mancato di farle notare, magari non nei modi migliori – non ho potuto fare a meno di notare che almeno in parte il discorso è vero. 

Nel senso, i miei rapporti con molti amici sono ristretti ad ambiti molto particolari e con poche persone (con compagnie alla fine grandi), insomma quasi come se non avessi attività “comuni” ad altri della mia età.

Rifletto, rifletto rifletto ma poi mi accorgo di una cosa: sì, ma chi ha rapporti tanto differenti da ciò?

Penso alle attività medie dei miei amici “comparsanti”. È tutto un susseguirsi di piccole cose, di vedersi di qua, una festicciola di là, suonare di qui e poi gli amici con cui si vedono spesso sono pochissimi.

Insomma, non sono fondamentalmente diversi da me.
E quelli che sono diversi da me conducono una vita che ritengo seriamente poco sostenibile per l’uso di stupefacenti, di gestione della sessualità e in generale dei propri rapporti interpersonali. Meglio “asociale” (o meglio, per usare un termine politically correct, diversamente socializzante) che così, insomma.

Ripenso allora da chi viene la critica. Da mia madre.
Cosa la spinge a fare una osservazione così secca, così oggettivamente pesante sulla mia intera vita sociale?
Chiaramente, si tratta di evidenti differenze con la sua esperienza passata che la portano a pensare che io (mi viene da dire, che noi generazione) stia gestendo male i miei rapporti.

Cosa è cambiato?
È cambiato il concetto stesso di compagnia
La compagnia come veniva concepita era fatta di decine di persone che si spostavano in blocco, senza manco aver bisogno di auto, di entrambi i sessi, con cui ci si vedeva su base quasi quotidiana. Gente proveniente da ogni parte della città, magari con gusti e caratteri completamente differenti. Un organismo dotato di vita propria in costante evoluzione, in cui i membri che la compongono cambiano di giorno in giorno.

È chiaro che nei giorni nostri la compagnia così concepita non ha senso, almeno posso esser certo che a Milano è qualcosa che veramente non sta né in cielo né in terra. La gente si trova sempre con i “soliti 4 str***i”  (cit.), altro che decine di persone da mezza città.

Ma la stessa analisi in prima istanza aveva una grossa falla: ogni rapporto interpersonale, finché non si vive assieme, risulta praticamente fatto di comparsate nelle vite altrui. Chiaro che per una persona che considerava la compagnia parte della propria vita e lo stare assieme alle stesse persone, andare a vedersi quasi ogni giorno con gli amici a costo di attraversare la città cosa quotidiana la cosa sembra fantasmagorica.

Mi chiedo cosa abbia generato tale cambiamento.

Due sono i fattori, secondo me.

Il primo, fondamentale, è la netta espansione dei centri urbani che di certo non aiuta l’interazione tra le persone. Specie in periferia (mentre i miei genitori sono cresciuti in case in centro) dove bisogna andare da un paese all’altro questo è un limite quasi invalicabile fino al giorno della patente.

Il secondo è che non serve più vedersi per tenersi in contatto.

E ciò è triste.

1000 Cigni

Dalle nostre parti i desideri li si ottengono con i pozzi dei desideri…

… un po’ più in oriente e i desideri li si ottengono con la lampada magica…

… un po’ più su con i folletti…

… e molto a destra, con mille cigni origami.

Perché così spesso lì “a destra” hanno le idee migliori?

/365

Una foto ogni giorno per un anno. Magari una foto di se stessi ogni giorno per un anno. 

Non credo che ognuno di loro creda di avere avuto un’idea innovativa.

Spero per loro di no. Davvero.

Ma fatelo, cliccate il link e giratelo. Sfogliate le pagine. Sfogliate e capite che c’è qualcosa che non va.
Voglio ora, qui, in questo momento dire davvero COMPLIMENTI a quelle persone che hanno completato un anno e magari sono andate anche oltre. Grande forza di volontà, è molto molto difficile fare una cosa simile.

Cosa c’è di strano in quelle pagine?

Di DAVVERO strano?

Lo dico io. C’è una percentuale paurosamente alta di persone che hanno <i>completato</i> il set. 365 foto o più.

Quando vedo queste foto passando per Flickr mi dico sempre “che palle un altro che ci prova”.
Sono rimasto sorpreso da quanta gente abbia cominciato e finito questo progetto. Completamente inatteso, giuro.

Mi fa sperare nel genere umano che spesso mi fa vedere come “le persone” in genere siano molto poco affidabili, poco coerenti, poco durature nei loro impegni e nei loro propositi.

È poetico.

Allarme! Emergenza!

Che divertenti i giornali.
Davvero, sono una produzione umana veramente degna di nota.

Ogni italiano – si spera – si scontra quotidianamente con un giornale. Diciamo ogni italiano attivo, di quelli che anche solo si prendono il giornale in metropolitana. Praticamente tutti quindi sappiamo come funzionano le ondate mediatiche: “generazioni” di notizie – bulldog, malasanità, sicurezza aerea, tram, inquinamento, borse – che fanno scalpore perché pompate e riproposte in continuazione dai giornali.

Le ondate mediatiche hanno generato secondo me un effetto secondario niente male. Dall’allarmismo che volevano generare, si sono autoallarmate.

Così che ora è sempre allarme ed emergenza.

Io ho quest’immagine nella mia mente: una grande stanza con un addetto alla sicurezza nazionale, con una di quelle grandi lampade rosse o arancioni che ruotano… Quelle che segnalano per l’appunto un allarme.
Mi immagino che ogni volta che un giornale scrive “è emergenza maltempo”, è “allarme scuole” è “emergenza immigrati” è “emergenza case” è “allarme vandalismo” questa luce comincia ad illuminarsi all’impazzata e questo addetto con un grande telefono rosso avvisa le alte cariche dello Stato gridando con voce preoccupata “Emergenza! EMERGENZA!”

Resterà sempre quest’immagine romantica nella mia mente.

Ogni volta che leggerò della nuova emergenza e del nuovo allarme. Allarme Amazzonia. Allarme piloti. Emergenza razzismo. Allarme antibiotici. 

 

ALLARME ALLARMI: Troppi allarmi.

Tempo

Ormai ne sono fermamente convinto.
Più dei gusti, delle credenze religiose o politiche, più della fede sportiva o altre minchiate simili, più dei punti di vista divergenti, il più grosso ostacolo alla socializzazione tra due persone può essere la quantità di tempo disponibile.

Una persona con pochissimo tempo libero difficilmente riuscirà a trovarsi bene con una persona che non fa un cazzo dalla mattina alla sera.

Me ne sto convincendo, anche io non ci credevo ma sta diventando sempre più forte questa tesi.

Ordini di grandezza di tempo libero differenti rendono le persone estremamente poco compatibili.
Poi oh, ognuno la gestisce in maniera differente.

L’idea

L’idea per il film scandalo dell’anno prossimo.

“VAGINE” – Film dell’orrore su una donna che scopre di avere vulve sui denti. Un film sui denti vaginati, una parte dell’analisi Freudiana poco conosciuta.

Da tali presupposti non oso immaginare che cosa potrebbe succedere…

L’ultimo scatto

Il progetto era semplice come concetto: una foto di Mattia che taglia una arancia al volo con un Miracle Blade.

Niente di più niente di meno. 

Così ci mettiamo a fare tentativi, su tentativi su tentativi su tentativi.

Non è facile per nulla, ve lo assicuro. Più che altro perché colpire il bersaglio al volo nel buio quasi assoluto è estremamente difficile. Più che altro perché far partire il flash nel centesimo di secondo esatto è altrettanto complicato.

Prova prova prova qualche scatto buono l’abbiamo fatto.

Eravamo pezzati, eravamo stanchi eravamo alla fine. Avevamo quasi finito le arance. Ne avevamo un’ultima buona. Volevamo fermarci già a quella prima. Non ne potevamo onestamente più e avevamo già uno scatto che ritenevamo decente.

Guardo Tia e gli dico… Dai, facciamo l’ultima. 

La lancio, la colpisce di striscio con il manico. È ancora usabile?
Sì dai. Ultimo scatto. Dai.

Lancio. Presa. Flash. Perfetto.

Lo scatto è quello perfetto. È l’ultimo scatto.

Se ci fossimo fermati un’arancia prima, se avessimo detto “dai, basta” cinque minuti prima non avremmo avuto questo scatto. Lo scatto che ci ha fatti felici, che ci ha fatto brindare con bicchieroni di spremuta che ci siamo “guadagnati”. Non avremmo capito cosa volevamo da questa foto.

Ancora una volta la fotografia mi ha insegnato qualcosa. Ancora una volta.

Non devo più dubitare di lei.
E non devo più dubitare del mio istinto quando mi dice “ancora uno scatto, dai”.

Non mi ero reso conto che potevamo fare di meglio. Che il bello doveva ancora venire.

La Teoria del Freddo

La teoria del freddo, da me proposta, sviluppata e supportata, prevede che la maggiore causa del freddo percepito dal corpo umano sia il delta tra temperatura ambientale e temperatura interna ai vestiti, non dalla temperatura assoluta presente all’esterno.

Senza estremizzare. Andare in giro in maglietta per la Svezia è demente lo stesso.

Però non c’è da stupirsi se non ho problemi ad andare in giro in maglietta con 10° – non sono né Superman, né masochista, né mi sento particolarmente figo a farlo. Né ritengo che i miei ormoni possano essere ancora così attivi.

È che sento MOLTO meno freddo a stare leggero che stare coperto.

Il fulcro della teoria del freddo non sta nell’incapacità isolante dei vestiti. I vestiti isolano, anche bene, anche FIN TROPPO bene! Tutto sta nella disomogeneità totale e completa della distribuzione dell’isolamento.

Se non sono in un ambiente nordico o in generale se non c’è vento, non ha senso coprirmi la faccia anche d’inverno. Così il delta tra temperatura esterna e temperatura interna ai vestiti aumenta particolarmente nei mesi invernali. Ma la temperatura interna ai vestiti elevata si ha per una fascia relativamente limitata: torso e poco più.

Ora, i miei pantaloni sono sempre e comunque dei dannatissimi blue jeans. Tali pantaloni mi porteranno ad una temperatura nelle gambe inferiore – magari anche solo di pochi gradi- a quella toracica.
Così come la faccia scoperta sarà esposta a maggior freddo rispetto a pancia e petto.

È chiaro come la cosa sia estremamente soggettiva – c’è chi soffre di più e di meno il freddo e proporre questa teoria ad una ragazza gracile e cagionevole di salute sarebbe folle.

Però non posso fare a meno di notare che quando comincio a mettermi gli strati più esterni, tipo una giacca, sento più caldo all’interno ma alla fine ci sto peggio dei giorni in cui vado in giro magari armato solo di felpa.

In genere sono uno step indietro rispetto al normale: quando c’è felpa io sono a maglietta, quando c’è giacca sono a felpa, quando c’è giaccone sono a giacca, quando c’è neve… Sì, sto in maglietta.

Realmente_inquietante

GwahLe firme dei forum sono espressioni della cultura popolare moderna.

Io pensavo che ogni firma avesse una sua motivazione particolare.

Oggi mi accorgo che questa immagine aveva però come nome “realmente_inquietante”, il che significa che non ha _alcun_ senso.

È solo una gif inquietante.

È inquietante. (grazie a breakinlord)

E non ha motivo particolare d’essere. Credo.