Cpt. America

La seguente frase si è guadagnata un posto nel blog non tanto perché è stupendamente stupendosa.
Alla fine l’ha detta mio fratello.

Ma è qui perché ci ho messo quasi un’ora a recuperarla dopo che era stata detta e dimenticata a pranzo.

È un inno alla mia memoria ritrovata. È gioia per i miei neuroni.

“Ma Capitan America, possibile che non sia mai stato promosso?”

 

Ridete, bastardi.

Treno

Mi chiedo se sono solo io. 

Quando sono su un treno, quando ci salgo, qualsiasi esso sia. Anche la metro. Devo controllare di stare andando nel verso giusto e che sia quello giusto in generale.

Devo controllare ogni fermata.

E non sono contento finché non ho la certezza di essere nella direzione giusta.

Non ho avuto esperienze traumatiche. Ho sbagliato solo un paio di volte in vita mia. Ci sono cose che proprio non capisco di me stesso. Non ha senso.

(Certo è, che se sbagli treno sul passante ferroviario di Milano finisci chissà dove… Ecco.)

Lettera aperta

Lettera aperta alla professoressa Baderna. Cristina Baderna.

Gentile professoressa Baderna,

grazie.
Ho la netta sensazione che per quante volte glielo potrei dire, non sarebbero mai abbastanza.
Grazie, grazie di cuore e grazie davvero.

È stato un addestramento. Ninja. Meglio di karate kid.
Togli la cera metti la cera.
Fai la derivata, integra. Fai la derivata, integra.

I compiti a sorpresa. I suoi compiti a sorpresa, la necessità in essi di dire le cose perfettamente, la sua esigenza completa e totale di terminologia impeccabile. Lei ha fatto. Io ho solo dovuto eseguire gli ordini alla lettera. Lei ha fatto tutto. 

Alla Chuck Norris mi ha impresso nella mente tutta una serie di informazioni fondamentali con un grosso calcio rotante durato un triennio. Le sarò grato sempre.

Le sono grato. La Sua eredità la custodirò come un tesoro.

Non mi sono reso conto di tutto ciò, o meglio, me ne sono reso conto solo parzialmente solo fino ad oggi.
Non mi rendevo conto di cosa stesse succedendo.

… Grazie.

Davvero.

Il suo ex-studente

Marco.

Odor d’altro

Così c’è questo cappotto di pelle, bello, lungo, che mi sta a pennello che ho appena preso.

Sì, mi serve per un cosplay ma è bello e quindi lo uso per me. Quello che cucivo. Era un po’ scucito, per questo veniva svenduto per nulla al mercatino.

Però… Ha un odore.

Un odore di qualcun altro. Un odore che non potrò togliere fino al primo giro in tintoria. Forse anche un paio di giri.

Scopro che mettere su un vestito con l’odore di qualcun altro non solo è strano – ovviamente – ma, nel caso l’odore sia di uno sconosciuto, la cosa arriva facilmente al limite del fastidioso. 
Non per forza l’odore è sgradevole. Anzi, è un normale odore, abbastanza neutro.

Però è come se ci fosse qualcosa di attaccato, un qualcosa che non vuole andarsene. Qualcosa che rende l’abito non tuo. Che lo rende estraneo, addosso a te.

Mi viene un termine in inglese per descrivere la sensazione. Awkward. Abbastanza intraducibile ma è perfetto.

Sabato sera 100% milanese

Partiamo dal fatto che io non sono un tipo da serata fuori. O meglio non lo sono di mia natura, ma faccio serata fuori un giorno sì e un giorno sì.

Ora, il sabato sera a Milano è in genere variopinto. Nel senso di persone, nel senso di orari, nel senso di posti e nel senso di musica. Già, tutto si basa sul tipo di musica di sottofondo che uno vuole, fondamentalmente.

Così la serata parte da un locale nell’hinterland est all’aperto dove un paio di amici devono fare il dj set. Comincia a piovere, saluto. Decido che è meglio una serata al famigerato “Alcatraz”, al caldo e – valore aggiunto della serata – al metal con… Altri amici.

Vado. Dai. Vado.

Meno di un quarto d’ora sono lì. Magia! La serata milanese è l’opposto del giorno. In giro si va da Dio. Il traffico è fluido, non si incontra una mazza di nessuno. Bello andare in giro a Mi..

Mil..

Mi… sì ma l’auto mò dove pispoli la metto?
L’Alcatraz, famosa discoteca ospitante ogni genere di musica nelle sue varie serate (bello sapere che sullo stesso palco han suonato i Blind Guardian, i Dream Theater e i Gem Boy – ha un che di VERAMENTE ironico), è in una posizione particolarmente infelice. Non ha parcheggi attorno.

O meglio, è pieno. Ma non sono MAI abbastanza. L’opposto del giorno! Lì in genere non è un problema parcheggiare.

Serata 100% milanese: “un quarto di giro di Rolex” per arrivare, “un giro di Rolex” per…

… Non trovar parcheggio.

Serata 100% milanese: ore 1.20, a cucire. Sì, a cucire un cappotto. Di pelle. Finta.

Perché io valgo, no?

Una questione di %

Il conto è veramente scemo. I posti sono tanti, i milanesi sono pochi.

Però uno non ci pensa. Dà per scontato che la maggior parte degli universitari di Milano siano milanesi. Assunto completamente sbagliato.

Più divertente si fa la cosa quando le percentuali si spostano su regioni più o meno presenti nel sistema universitario milanese – a quanto pare i terroni vengono su a fiotti, ma la gente del nord se ne sta a casa sua. Calabresi.

E Sardi. Pacchi di Sardi. Tanti tanti Sardi.

Credo che sia una questione di fatica e di qualità, nel senso che già che si fa fatica, che ci si sposta, almeno che lo si faccia per un motivo, che si cerchi il meglio.

Altrimenti non mi capacito che vengano dal sud per andare a studiare ingegneria a Milano, che nella mia mente è qualcosa di relativamente stabile, di poco variabile da università ad università.

Mi ricordo delle elementari. Nessuno veniva alle elementari di Milano 2 se non gli abitanti di Milano 2, no? (Oggi non è più vero, vengono anche dai comuni esterni) Perché non c’è necessità.

Alle medie di Milano 2, fastidiose da raggiungere dai comuni limitrofi, ci venivano e ci vengono tutt’ora pullman pieni di ragazzini. Pieni zeppi! Gente dai più svariati comuni.
Motivo? Qualità. Specialità dei corsi. Però uno non pensa che magari classi intere di una scuola media siano piene di gente non del comune di appartenenza della media stessa. È strano.

Al liceo tutto ciò diventa normale.

Dopo tutto ciò che succede non è nulla di più che spostare la stessa percentuale che prima era di “gente da altri comuni” a “gente da altre città”. Basta questo per ottenere un bel quadro della situazione, direi. Le cifre sembrano le stesse.

C’è una pietra

C’è una pietra sulla mia scrivania. Davanti al computer. Vicino alla mucca portacellulare e un Ganesh portato dall’india. Tra i cavi della robaccia USB, vicino al mixer. Vicino al jack. Vicino all’accordatore.

Vicino ad un sacco di paccottiglia. Vicino al computer, vicino alla polvere. In mezzo a mille altre cazzate.

C’è una pietra. Non una pietra bella. No, per nulla bella. È di un colore francamente deprimente, la forma non è particolare. Non è una pietra che uno terrebbe. Trovandola, che so, in riva ad un fiume, uno la calpesta, non la nota.

Un mio amico è andato in cina e mi ha portato indietro due cose. Un portachiavi molto leggero di cui rimane solo la parte centrale – il resto si è sfasciato. 

E questa pietra. In realtà non l’ha portata *a me*, l’ha portata anche agli… Altri. (Buffo, un giorno avevo detto che avrei detto chi erano gli “altri” e… E qualcun altro. Mai avrei potuto scrivere coglionata più grossa. Divertente, tre anni dopo.)

Però è una pietra che mi è stata data. Portafortuna, dicono. Dice.
In un mini sacchetto di plastica, c’era la pietra. Milita qui davanti a me da un annetto e passa ormai.  

La fortuna è come l’omeopatia. Non saprai mai se davvero ha fatto qualcosa. Figuriamoci qualcosa di bene.

Merda di padrone

“Guardi che porti fortuna, a tutti capita di pestarne una”?

Ho deciso una cosa.

Importantissima per la vita di tutti quanti, direi. Fondamentale. Bisogno primario.

Chiamerò l’evento di pestare una cacca di cane “pestare una merda di padrone”.

È così stupendo come modo di dire che sono davvero fiero di me stesso. Sono un poeta, ecco.

Lo scherzo.

Idea malata.

Si va al cinema. Si entra, magari in un tot di persone che aiutano a portare il materiale occorrente.

Sono necessari circa un 200 paia di occhiali da sole anni ’80 il più brutti possibile e una scatola.

Ci si mette davanti ad una sala che apre per la proiezione vestiti in modo tale da poter essere scambiati per impiegati del cinema e si distribuiscono gli occhiali dicendo che il film è in 3D.

All’inizio della proiezione, prima che la gente si accorga, fare una foto alla sala gremita di gente con occhiali da sole osceni. Cercare di capire chi sono i bamba che si accorgono della cosa più tardi di tutti, postare il tutto sulla rete e ridere.

Chi mi segue?