Al terzo posto delle peggiori invenzioni della vita metto il piacere.
Non funziona.
O meglio, era un ottimo modo per controllare le azioni finché eravamo bestie per cui la parola “morte” aveva senso in ogni istante della vita e non cominciava ad assumerne qualche traccia solo superati i 50 anni.
In realtà va pari merito con il dolore, ma il dolore ha una sua posizione ambigua a parte che meriterebbe una sua disquisizione.
Una volta che la bestia esce dal suo status di bestia e comincia a usare la capa, il piacere è un meccanismo che comincia a scricchiolare pesantemente. Finché ci si esprimeva a grugniti, il piacere era ciò che bisognava fare e il dolore era ciò che non bisognava fare. E i rapporti erano in base a ciò.
Quando poi compaiono vincoli sociali oppure si comincia ad avere una sorta di morale interna, il conflitto nasce ed appare subito evidente: il piacere diventa ciò che si vorrebbe fare ma non si può fare nel 99% dei casi. Un signorotto di nome Sigmund e cognome Freud ha analizzato bene i risultati di tale scontro interno.
L’allungamento e il miglioramento della vita ha quindi portato a galla il pessimo design di questo strumento, che diventa solo un problema e una complicazione inutile per la vita della specie evoluta. Al contrario si corrobora la mia analisi di come la fatica sia uno strumento stupendo, in quanto funziona a prescindere dai fattori che oltre un certo punto rendono il piacere inutile.
[NdAmid: Certo, a meno di non escludere eventuali sviluppi della tecnologia, ma questi sono risvolti fantascientifici da non prendere in considerazione se non dal punto di vista filosofico]
E non chiedetemi di fare esempi che non voglio scadere nel volgare.