L’altro giorno si parlava di una persona con cui alcuni miei amici hanno avuto scazzi… Insomma, questo tizio è praticamente delirante e siamo tutti d’accordo nel dire che ormai si convince delle stesse cazzate che lui dice.
Insomma parla che ti riparla è spuntato fuori un termine che non mi è piaciuto per nulla.
Ma proprio per niente.
“Massì, sai cos’è lui? È un FALLITO. Guarda il suo lavoro, guarda la sua tendenza a cercare di darsi un tono. È un fallito.”
Non mi sento nemmeno di commentare. Lascio la valutazione dell’utilizzo di un termine così pesante al lettore.
Beh, non puoi deconstestualizzare così: “fallito” utilizzato come insulto generico è veramente pesante, ma nella sua definizione vuol dire: “persona che non riesce a portare a termine le cose che cerca di fare” (dal dizionario). E nel caso suo è un aggettivo particolarmente calzante, considerando che non è praticamente riuscito a fare niente di buono, coinvolgendo anche gli altri a Paperopoli.
il problema è che spesso certi termini sono gravi o meno gravi a seconda della provenienza della persona: la regione, ma anche la famiglia, le abitudini.
ad esempio da quando sono a milano ho trovato una grande differenza del “peso” di certe parole o affermazioni, molto diverso.
per quanto riguarda il particolare la parola “fallito”, magari una persona puo’ essere fallita per alcuni osservatori esterni ma magari lui si sente realizzato, o viceversa, si sente un fallito ma per gli altri è “degno di invidia” o quasi.